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“Filumena Marturano” all’Anfiteatro delle Miniere

Talentuosi si sono dimostrati i tre musicisti che, con violino, chitarra classica ed elettrica, hanno preceduto la commedia anticipandone l’atmosfera con le note di struggenti arie napoletane.

filumena marturano

Da Maria Gisella Catuogno

“L’idea di Filumena Marturano mi nacque alla lettura di una notizia; una donna a Napoli, che conviveva con un uomo senza esserne la moglie, era riuscita a farsi sposare soltanto fingendosi moribonda. Questo era il fatterello piccante, ma minuscolo; da esso trassi la vicenda ben più vasta e patetica di Filumena, la più cara delle mie creature” così il grande Edoardo De Filippo raccontava la genesi della sua celeberrima commedia, cavallo di battaglia delle più grandi attrici italiane, non soltanto napoletane: da Titina De Filippo, la sorella per la quale fu scritta, a Regina Bianchi, da Pupella Maggio a Valeria Moriconi, da Lina Sastri a Mariangela Melato, mentre nelle edizioni cinematografiche, nel prestigioso ruolo si sono cimentate Sophia Loren e Valeria Scalera. Com’è naturale, la parte di Don Domenico Soriano (don Mimì) è sempre appartenuta ad Edoardo e poi ai suoi epigoni, tra cui il figlio Luigi, Marcello Mastroianni e Massimiliano Gallo.

Un monumento dunque del teatro e del cinema italiano, Filomena Marturano, da far “tremar le vene e i polsi” ad affrontarla, a una compagnia teatrale amatoriale, di non professionisti, al pari di una montagna da scalare o di un mare irto di insidie da navigare. Eppure la Compagnia del Registro c’è brillantemente riuscita.

Ieri sera, 18 giugno, dopo le due serate al Teatro dei Vigilanti di Portoferraio, ad inizio mese, si è esibita infatti all’Anfiteatro delle Miniere di Rio Marina e ancora una volta è riuscita a coinvolgere, divertire, emozionare il pubblico, che ha risposto con slancio e affetto alle sollecitazioni provenienti dal palco. La vicenda di Filumena, ex prostituta per bisogno e a lungo compagna e mantenuta di Mimì – eterno giovanotto pieno di soldi e di vizi –, che cerca, fingendosi in punto di morte, quelle nozze che potrebbero garantire a lei e ai suoi tre figli, uno solo dei quali “figlio a lui”, il rispetto della gente e la sicurezza economica per lei e per loro, smuove e commuove da quando fu scritta, nel 1946: impossibile non immedesimarsi nel personaggio, non soffrire con lei quando racconta della sua famiglia nei bassi, del suo colloquio con la “Madonna delle Rose”, non aderire agli stratagemmi per far crescere le sue creature e soprattutto non condividere il suo sacrosanto diritto a tacere a Mimì l’identità del figlio naturale, per salvarli tutti. Fino allo scioglimento finale, lieto in ogni commedia, con Mimì che finalmente capisce e si commuove al suono di quella parola “Papà” pronunciata dai tre giovani; con il matrimonio vero, dopo lo scioglimento di quello farsesco, e con una Filumena, ormai sposa, che riesce a sciogliersi in un pianto liberatorio, perché le lacrime sono privilegio di chi conosce il bene e lei fino a quel momento il bene non l’aveva conosciuto mai.

Nella recitazione di una trama tanto complessa quanto emotivamente coinvolgente, magistrali si sono rivelati i due attori protagonisti, Gennaro M. Squillace, Mimì, e Gina Petricciuolo, Filumena, napoletani veraci, seppure elbani d’adozione, che con la loro dizione perfetta ci hanno calato subito nella “napoletanità” del testo, ma bravi anche tutti gli altri: Duilio Biani, Patrizia Cherici, Giancono Cammarano, Daniele Thanasi, Ivana Petrocchi, Caterina Fortuni, Walter Tripicchio, Nicola Pieruzzini, Andrea Vitiello, Alessandro Frugis, Lucia Russo. E attento e rigoroso, come sempre, il regista Luigi Valle. E’ piaciuta la scenografia di Alice Albertelli e Antonella Avataneo, che hanno riprodotto il salotto “anni quaranta” di una famiglia borghese napoletana, quale quella dei “pasticceri” Soriano, ma anche i costumi di Viviana Ginebri e il trucco di Giulia Giovarruscio, che sono apparsi curati e convincenti.

Talentuosi si sono dimostrati i tre musicisti che, con violino, chitarra classica ed elettrica, hanno preceduto la commedia anticipandone l’atmosfera con le note di struggenti arie napoletane, ed empatica la presentatrice (e scenografa) Alice Albertelli, che ha tenuto a comunicare, tra l’altro, la destinazione in beneficenza degli introiti dello spettacolo, come è sempre avvenuto, del resto.

La Compagnia del Registro nasce infatti nel 2013 per volontà di Gennaro M. Squillace, insegnante di Matematica (ed ex collega) all’ITCG Cerboni di Portoferraio, con una evidente predisposizione per lo spazio scenico e la recitazione – postura, capacità vocali, naturalezza in primis – compresa una vaga somiglianza con Eduardo De Filippo da giovane. Il nome della Compagnia si spiega appunto con la professione di docente di Gennaro, al quale, oltre a congratularci, auguriamo, insieme al suo team, di mietere ancora successi per l’avvenire e di continuare ad accostarsi, con coraggio e determinazione, al repertorio di Edoardo, l’interprete più profondo, drammatico ed ironico al contempo, della tradizione teatrale napoletana.

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